Quando qualcuno gli chiedeva da dove venisse, egli rispondeva: “Io sono un cittadino del mondo”.
(Diogene Laerzio, vita di Diogene di Sinope)

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Incontro con le Madri di Plaza de Mayo

Le Madri di Plaza de Mayo: coraggio e determinazione
“Non siamo eroine, ci spinge ad agire l’istinto che ha ogni madre nei confronti del figlio”

“Ricordo perfettamente la mattina del 17 giugno 1975 in cui il mio amato figlio Alejandro, che aveva vent’anni e studiava medicina all’università, varcò per l’ultima volta l’uscio della nostra abitazione: mi salutò per andare a sostenere un esame, probabilmente una trappola tesa dai militari della dittatura. Non tornò mai più a casa. Alejandro non era un comunista, ma un militante politico che si batteva per il rispetto dei diritti umani: credo che questa sia stata la causa del rapimento, infatti il suo schieramento non era evidentemente ben visto dalla Triple A, un’organizzazione parastatale che dominava in Argentina dopo l’ennesimo colpo di stato”.

Con queste parole molto forti e dirette, Taty Almeida (Lidia Stella Mercedes Miy Uranga), energica donna argentina di 73 anni, ha iniziato a raccontare la sua tragica esperienza agli studenti del “Liceo Classico Govone” nel pomeriggio del 20 maggio 2009, anticipando l’incontro serale aperto a tutta la cittadinanza presso la libreria “La Torre”.
Il fenomeno dei desaparecidos riguardò circa 30 mila persone, eliminate dalla più atroce dittatura che l’Argentina abbia mai conosciuto, instaurata il 24 marzo del 1976: un'esigua minoranza era formata da quanti parteciparono attivamente alla lotta armata in atto in quegli anni, mentre in maggioranza erano giovani, operai, studenti, intellettuali che, per il loro credo politico e morale, erano considerati pericolosi sovversivi. Venne così eliminata un’intera generazione.
La signora Taty, temprata da un’esperienza dolorosissima, quale la perdita di un figlio, non si è mai rassegnata, e, come molte altre madri argentine che hanno subito lo stesso “supplizio”, ha iniziato a protestare chiedendo, subito dopo la sparizione, la liberazione del figlio; quando ha iniziato a capire che probabilmente Alejandro era stato torturato o ucciso in carcere, buttato nel Rio de la Plata o sulle coste argentine o uruguayane, dove periodicamente venivano trovati numerosi corpi senza vita e non identificati, ha continuato la protesta con ancora più determinazione e rabbia.
Taty ha sottolineato che lei e le donne di cui si è fatta portavoce sostengono una lotta politica, ma non si identificano in alcun partito; durante l’incontro ha portato un fazzoletto bianco in testa, simbolo di riconoscimento delle Madri di Plaza de Mayo: questo candido pezzo di stoffa con su scritto il nome del figlio scomparso e la data del rapimento ricorda simbolicamente il triangolino usato dalle madri come pannolino per i propri bimbi. Tale segno di riconoscimento venne utilizzato per la prima volta dalle Madri nella celebre piazza di Buenos Aires durante una manifestazione al grido: “Con questi li abbiamo allevati, con questi li richiediamo indietro”.
Molte madri di desaparecidos sono vedove poiché i mariti, in seguito alla scomparsa dei figli, si sono suicidati, o sono morti di crepacuore o di cancro; le mogli, invece, non si sono mai date per vinte e non si sono offese neanche quando sono state soprannominate “Locas di Plaza de Mayo” cioè “le matte”: anzi hanno accolto questo epiteto come un riconoscimento, in quanto matte di rabbia, di impotenza e di dolore.
Il toccante incontro ha fortemente coinvolto la platea di studenti e docenti del Liceo Classico, commossi dalla forza e dal coraggio di una madre, ma amareggiati dall’ennesima crudeltà che l’uomo ha inflitto ai suoi simili, un’altra macchia nera della storia dell’uomo.
Quello consegnato dalla sig.ra Almeida ai giovani, tuttavia, non è stato un messaggio di odio o disperazione, ma al contrario un invito a non abbandonare il ricordo di ciò che è stato e a nutrire speranza in un futuro di giustizia, come suggeriscono le sue parole: “Né il tempo, né la vendetta possono chiudere le mie ferite e a Dio chiedo una cosa sola: rimanere in vita fino a quando saprò la verità su Alejandro e riuscirò a dare una sepoltura ai suoi resti, per poterlo pregare e piangere con dignità”.

di Elena Claudio